Elisabetta e Ines-Grande esempio di lotta allo spopolamento

Ci vuole coraggio a decidere di andarsene dal posto in cui si è nati eh..
Dicono così quelli che se ne vanno.
Ma ci vuole ancora più coraggio a decidere di restare nel posto da cui tutti se ne vanno.
Dicono quelli che restano, e tra loro c’è anche Elisabetta, lei infatti cinque anni fa ha deciso di
restare e investire nel paese che l’ha vista crescere. Dopo gli studi fiorentini ha capito che se nella
vita bisogna andare dove ci porta il cuore, il suo cuore la riportava li a Monzone.
Li dove il treno ormai ferma solo due, tre volte al giorno.
Li dove le case si chiudono.
Li dove sotto il monte San Giorgio si è sicuro dalle grandi tempeste come le diceva la sua nonna.
Elisabetta, attrice e regista, ha aperto insieme alla sua socia Ines Cattabriga, il piccolo Spaccio
culturale dove il teatro, il cinema e la vita di tanta gente si interseca in tanti respiri di cui il paese
ha tanto bisogno.
“Una luce accesa è una speranza, una luce accesa significa che ancora c’è qualcuno che ci crede”
Da anni le due donne hanno deciso di portare tramite la cultura nuova vita al paese, come?
Offrendo attività, laboratori, arte e spettacoli di ogni genere per accontentare i gusti di ognuno. Lo
Spaccio culturale è il posto di tutti, dove le persone entrano e poi in qualche modo non ne escono
più.
“La cultura e l’arte possono contrastare lo spopolamento dei paesi perché l’arte non toglie mai
niente a nessuno, anzi dona, perché chi va a teatro, chi va ai laboratori poi passa dalla bottega a
comprare il pane, oppure dall’edicola a comprare il giornale e magari anche a bersi il caffe al bar
accompagnandosi con due chiacchere, le famose chiacchere di paese.”
Questo è il pensiero di Elisabetta che non si rassegna nel vedere morire le cose ma piuttosto le
vuole provare a trasformare attraverso un amore per il suo paese che andrebbe trattato come una
casa.
È forse vero che non ci si accorge dell’importanza delle cose finchè esse non ci vengono tolte,
l’inversione deve essere questa: tornare ad accorgersi di ciò che abbiamo per proteggerlo.
E proteggere significa curare, e curare è una forma d’amore tramite cui il paese può essere
salvato.
Da qui il desiderio e la lotta per amare quei posti del paesi fondamentali per chiamarlo tale,
fondamentali per non far sentire solo nessuno.
La scuola prima di tutto: il gioiello di ogni paese, il bar, il ristorante, le attività e la pubblica
assistenza sempre attiva 24 ore su 24, e quel modo di conoscersi tutti con quella voglia di andare
tutti al campo sportivo la domenica a tifare tutti insieme la squadra del paese. È necessario non
dare mai per scontato chi lotta, chi combatte e chi ama così tanto da rischiare nella speranza che
un giorno ripopolare tornerà di “moda”.
Ognuno nel suo piccolo può fare qualcosa, benedetti siano quelli che decidono di riaprire un
fondo, benedetti siano quelli che non mollano, e benedetti siano quelli che restano. Benedetti
quelli che ci tengono così tanto che li trovi a ripulire le strade, le strade che sono di tutti e per
questo anche di chi ha voglia di vederle pulite.
Non è vero che “nel paese non c’è niente” la verità è che nel paese c’è tutto, tutto quello che
manca negli altri posti, nel paese c’è tutto va solo ricercato e ritrovato perché quello che ti da il
paese non te lo da nessuno.
E come dice proprio Elisabetta nel suo spettacolo VICKS “il paese ti rialza da terra, ti sorregge, ti
cura le ferite, ti toglie la cravatta che al paese non serve, il paese non sa il tuo nome ma sa solo il
tuo soprannome. Il paese ti tiene ma non trattiene, non lo farà mai.. “
Perché il paese è una scelta, ed Elisabetta con Ines hanno scelto.